NOTE SULL’AMBIGUITA’
Paul Celan che era anche uno straordinario saggista, ma che rimaneva sempre poeta, ebbe a scrivere:
“Ci sono occhi che vanno al fondo delle cose. Essi scorgono un fondamento. E ce ne sono altri che sprofondano nelle cose. Questi non scorgono fondamenti. Ma vedono più profondo.”
Con queste frasi introduciamo efficacemente e felicemente le lettrici e i lettori alla tematica dell’ambiguità.
Le tre frasi di P. Celan sono straordinarie in sé nel distinguere tra “l’andare in fondo alle cose” e lo “sprofondare nelle cose”: solo lo “sprofondare nelle cose”, ci dice il poeta, consentirà di cogliere, o per meglio dire di uncinare, tutto quello che oggi ci sembra scivolare tra le mani. E noi sentiamo che la realtà vissuta ci scivola dalle mani perché manchevole è il nostro punto di osservazione, perché atterriti dalla meraviglia del contemporaneo che ci rotola addosso restiamo ancorati difensivamente a una visione dualistica del mondo, da una parte il bianco e dall’altra il nero, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, da una parte il bello e dall’altra il brutto.
Primo Levi – insieme a Hans Jonas, l’autore del “Il principio responsabilità” – il più straordinario scrittore di etica della seconda parte del novecento ci ha preso per mano e ci ha aiutate e aiutati a cogliere come non esista una semplicità ontologica contrapposta alla complessità.
La realtà è inesorabilmente complessità, così come il pensiero veramente utile per la donna e l’uomo non può non essere complesso.
La semplificazione – continua Primo Levi – sussiste come operazione mentale, attraverso la quale noi crediamo di comprendere quello che ci accade e ci circonda quotidianamente.
Ridurre la complessità è operazione agita dal soggetto e questo desiderio è fondato. Lo è perché vera è la nostra grande paura, la nostra meraviglia, l’angoscia interiore di fronte alla vita, al buio, alla morte.
Semplificare è un meccanismo di difesa legittimo come sono legittimi, quando sono misurati, gli altri meccanismi di difesa. Quello che non è legittimo ma è difensivo è dimenticare le fonti del nostro bisogno di semplificare, dimenticare in altre parole i fondamenti della paura, dell’angoscia, nutrenti le nostre operazioni mentali e, giova ripeterlo, quello che non è legittimo è far coincidere la nostra orgogliosa sicurezza di produttori di operazioni mentali semplici, con le caratteristiche ontologiche della realtà che crediamo così di comprendere, dimenticando che essa non preesiste al di fuori della nostra mente ma dipende dalla rete di significato che abbiamo costruito definendola.
Reggere l’ambiguità è un buon transito contro il meccanismo di difesa della semplificazione. Ma dobbiamo ricordarci dell’avviso del poeta, della differenza tra “l’andare in fondo” e lo “sprofondare”.
Solo ai “belivers in total immertion” è consentito lo sprofondare. Ma questa è un’altra storia poetica di cui alla prossima puntata.
a cura di Giuseppe Pino Varchetta
(continua)