Luigi (Gino) Pagliarani, un intellettuale del ‘900
“Luigi [Gino] Pagliarani ha usato tutte le categorie della clinica psicoanalitica per occuparsi della possibilità da parte degli umani di costruire un mondo per l’uomo. Il valore aggiunto del contributo di Gino sta nell’essersi occupato dello studio del potere non in termini di semplice sociologia o psicologia sociale, ma servendosi della clinica, in modo da ricercare l’origine e la passione che muove ogni essere umano ad essere e agire in modo che non ci sia, come Marx auspicava, sfruttamento dell’uomo sull’uomo” .
Luigi Pagliarani, Gino per gli amici, i colleghi, gli allievi è stato un intellettuale del ‘900. Al pari di molti altri, ovviamente, ai quali lo accomuna l’aver attraversato l’interminabile “secolo breve”; con uno stile, tuttavia, molto personale e non così usuale, tale per cui tra la biografia individuale e i grandi sommovimenti del secolo si riconoscono parecchi motivi comuni, che fanno di lui un rappresentante significativo di un’epoca.
Il più evidente di tali motivi è la drammaticità delle tragedie politiche che hanno caratterizzato il secolo scorso: guerre mondiali, rivoluzioni, colpi di stato, genocidi.
L. Pagliarani nasce nell’anno della presa del potere da parte di Mussolini e muore in quello dell’attentato alle Torri Gemelle; cresce negli anni dell’apoteosi del fascismo ma partecipa attivamente alle vicende che vanno dalla caduta del regime all’occupazione nazista del Nord Italia; vive gli anni febbrili della ricostruzione politica ed economica, soffre da militante comunista per i “fatti di Ungheria” che gli fanno intraprendere una nuova carriera professionale; negli anni della Guerra Fredda si impegna sui temi della mobilitazione sul “pericolo atomico”; dopo la caduta del Muro reagisce con indignazione alla guerra del Golfo intrapresa da Bush Senior, mancando di poco le guerre volute da Bush Junior in Afghanistan e Iraq.
Un secondo motivo di corrispondenza tra biografia individuale e storia collettiva è la grandiosità delle trasformazioni sociali avvenute in Italia lungo il XX secolo. Nella sua Rimini dal passato agricolo, il giovane Gino partecipa attivamente alla scelta coraggiosa che in pochi anni fa della Romagna uno dei distretti turistici più importanti al mondo; e nella Milano degli anni del “boom”, diventato un fine ricercatore sociale, contribuisce allo sviluppo della cultura del marketing industriale che fa delle “marche” parte rilevante del paesaggio urbano in cui continuiamo ad essere immersi anche oggi.
L. Pagliarani è intellettuale del ‘900 anche dal punto di vista del lungo e faticoso processo di affermazione del ruolo delle scienze sociali nella cultura del nostro Paese, rimasta notoriamente, più a lungo di altre, permeata – per non dire bloccata – da quel mix di spiritualismo, idealismo, storicismo che ha limitato il diffondersi del metodo scientifico e la sua fondamentale applicazione alle discipline dell’umano. In anni in cui la psicoanalisi è ancora rinchiusa negli spazi ristrettissimi di una pratica socialmente non riconosciuta, L. Pagliarani ha la fortuna di imbattersi in Gaetano Kanizsa che a Trieste, anche grazie alle proprie origini mitteleuropee, aveva saputo creare il centro più importante della psicologia sperimentale in Italia. A partire da qui, attraverso l’esperienza analitica e l’insaziabile curiosità intellettuale, L. Pagliarani diviene un interprete aggiornatissimo, e tra i più capaci di anticipazioni e riscoperte di autori dimenticati, dei progressi su uno spettro molto ampio di discipline, dalla psicoanalisi individuale a quelle dei gruppi, dalla sociologia dell’organizzazione alle scienze della complessità.
Un ulteriore motivo è quello che potremmo indicare come il senso del tempo presente e dell’urgenza dell’impegno nella polis. In questo il Novecento è certamente figlio del secolo che l’ha preceduto (con il succedersi continuo di guerre e di rivoluzioni, di repressioni e insurrezioni in ogni angolo di Europa). E al tempo stesso è all’origine della nostra incerta attuale contemporaneità. Ma è altrettanto certo che mai come nel secolo breve da parte degli intellettuali è stata avvertita la responsabilità politica di essere presenti al proprio tempo, che si trattasse di prendere la parola e di sottoscrivere appelli e manifesti per la liberazione dei popoli oppressi, oppure di solidarizzare con insorti e vittime di campagne maccartiste o di purghe staliniane o brezneviane. L. Pagliarani non ha fatto eccezione a questa tendenza, non tanto nelle vesti dell’engagement alla J.P. Sartre quanto in quelle del testimone del proprio tempo, che si interroga continuamente sulla propria e l’altrui capacità di porsi all’altezza del momento e della chiamata alla responsabilità personale che esso richiede. L’ha fatto negli anni della Guerra Fredda e poi nel ’68, e ancora negli anni della dissoluzione della cosiddetta “prima repubblica”. Con la consapevolezza dello scarso successo delle battaglie collettive e con il senso di insoddisfazione che l’impegno nella polis lascia sempre dietro di sé. Dalla sua parte stava la consapevolezza di non poter accampare proiettivamente l’altrui mancata assunzione di responsabilità come alibi assolutorio e di doversi ogni volta interrogare sugli errori compiuti nell’indicare un possibile impegno di cambiamento.
Cenni biografici
Luigi (Gino) Pagliarani nasce a Rimini il 23 gennaio 1922, in una famiglia dedita alla gestione di una pensione turistica. Il padre Isaia (1885-1958), tra i dirigenti del Partito Comunista clandestino negli anni ’20 e ’30, sarà assessore nelle prime giunte comunali nominate dal CNL (Zaghini 2010).
Amico d’infanzia di Gino è Sergio Zavoli (1923), residente poco oltre la casa di Gino, a Borgo Marina. Compagno al liceo classico “Giulio Cesare” è anche Federico Fellini (1920-1993), del quale Gino resterà amico per tutta la vita.
Negli anni di guerra inizia a frequentare il corso di laurea in filosofia a Bologna. Durante le vacanze di Natale del 1942, insieme all’altro carissimo amico Guido Nozzoli (1918-2000) scrive e distribuisce un volantino antifascista. I due ragazzi vengono arrestati dalla polizia ai primi di gennaio del 1943. Al processo – ricorda Nozzoli in una intervista su Chiamami Città del 1996 – vengono condannati, ma Gino “più duramente come autore e diffusore del volantino incriminato”. Beneficiando dell’amnistia concessa per il ventennale del regime, entrambi vengono rimessi in libertà e immediatamente chiamati alle armi.
Gino viene destinato ad una caserma di Padova, dove arriva il 21 luglio 1943, alla vigilia della caduta del regime. Dopo l’armistizio (8 settembre), la caserma viene circondata dalle SS e tutti i soldati catturati. Gino non accetta di arruolarsi con i nazisti e, al pari della stragrande maggioranza dei militari italiani (650mila su 710mila), viene spedito prigioniero in Germania come Internato Militare Italiano (IMI). Quasi 50mila di loro non torneranno dalla prigionia. Su questa esperienza scriverà nell’immediato dopoguerra dei racconti, che pubblicherà solo nel 1995 (Amore senza vocabolario. Racconti del lager 1943-1945, Guerini e Associati).
Rientra in Italia il 17 agosto 1945. Racconta Zavoli in Romanza:
Quando Gino arrivò dal campo di concentramento, e la gente lo seppe in un attimo, fu tenuto chiuso dentro un albergo ancora diroccato, in piazza, per un intero giorno. Isaia, […] prima di consegnarlo alla città lo volle aggiornare su tutto: sui compagni fedeli o traditori, ardenti o ignavi, vivi o morti […]. L’indomani, in piazza, ci fu del trambusto: era Gino che usciva dall’albergo. Lo misi sulla canna della bicicletta e attraversando una selva di saluti con quell’oracolo fra le ginocchia andai verso il mare. Parlò poco, non aveva mai ricevuto i pacchi che gli avevo spedito perché volevo tenerlo in vita, si era innamorato di una ragazza russa, mi aveva scritto una cartolina mentre bombardavano […]. Io non sapevo cosa volesse dire due ragazzi che piangono, senza guardarsi, in bicicletta, ciascuno pensando una cosa. (pp. 142-143)
Si iscrive al Partito Comunista, riprende gli studi e si laurea. Nel frattempo partecipa alla vita politica che, soprattutto a Rimini, vede il formarsi di una nuova classe dirigente di giovani tecnici e intellettuali cresciuti negli ultimi anni del fascismo (comunisti ma anche socialisti) e il suo prevalere, per apertura e ampiezza di visione, sul nucleo di coloro che provenivano dalla resistenza armata al nazi-fascismo. Questo gruppo di giovani impone un’apertura alle novità del dopoguerra, che spingono Rimini più verso il turismo che verso la tradizionale vocazione agricola. È così che Gino nel 1947 viene eletto presidente della neonata Azienda di soggiorno.
Destituito nel 1949 da un Commissario prefettizio, Gino, dopo una brevissima esperienza come insegnante di filosofia al liceo classico in cui aveva studiato, sceglie il mestiere di giornalista come l’amico Nozzoli. Entra a l’Unità, prima a Modena e poi a Milano, dove si occupa delle pagine culturali.
Nel 1957, dopo i fatti di Ungheria, abbandona il PCI e la professione giornalistica. Lo stesso anno a Milano conosce Maria Zanetta, psicoanalista svizzero-italiana, che era stata assistente di Jean Piaget a Ginevra. Maria, che sposerà nel 1962, lo incoraggia a coltivare l’interesse che, fin da ragazzo, aveva per la psicologia e, tramite Cesare Musatti, lo presenta a Gaetano Kanizsa all’università di Trieste, di cui diventerà assistente alla cattedra di psicologia.
La formazione e la collaborazione con Kanizsa e la sua scuola fa di L. Pagliarani – secondo la testimonianza di Pier Francesco Galli – “uno di quelli che in Italia allora disponevano di una sofisticata preparazione metodologica”, pur in un’epoca in cui “la psicologia in Italia, come sappiamo, era stata espunta dal contesto accademico”. Il risultato di questa esperienza sarà che Gino, per parecchi anni, si occuperà di ricerca qualitativa sui comportamenti di consumo; significativa, in questo campo, sarà poi la collaborazione, tra gli altri, con Laura Frontori.
Kanizsa gli fa conoscere Franco Fornari, con cui nel 1963 intraprende una psicoterapia individuale. Ad analisi conclusa, nel 1966 Gino viene accolto nel gruppo che si riuniva sul
terrazzo di casa Franco Fornari e che comprendeva Tommaso Senise, Diego Napolitani e Pier Francesco Galli.
Fornari – ricorda Galli – in quel periodo era particolarmente interessato alla “questione dell’aggressività, della guerra e della guerra atomica”. Gino inizia così a collaborare con Fornari ad esperienze di studio e di mobilitazione culturale sul pericolo atomico e la gestione del conflitto. Sono le esperienze del Gruppo Anti-H e all’ISTIP, Istituto di Polemologia, su cui L. Pagliarani è tornato più volte negli anni.
Attento alle questioni del malfunzionamento dei gruppi e delle organizzazioni – GAH e ISTIP compresi – Gino si imbatte nel lavoro di Elliott Jaques, psicoanalista canadese allievo di Melanie Klein e fondatore della socioanalisi presso il Tavistock Institute of Human Relations di Londra. Lo studio di Jaques, di Wilfred Bion, suo collega al Tavistock, e di Melanie Klein alimenta il filone principale del pensiero di L. Pagliarani in quegli anni e nel decennio seguente.
Con il ’68 alterna attività didattiche nelle università di Milano e Trento a numerose esperienze in gruppi e associazioni professionali (tra cui il CIS, Centro Individuo-Società e l’AMAG, Associazione Milanese di Analisi di Gruppo, trasformatasi in seguito in SGAI, Società Gruppo-Analitica Italiana).
A partire dagli anni ’70 elabora un approccio multidisciplinare che caratterizzerà la sua maturità intellettuale e professionale, affiancando la pratica della psicoterapia individuale e di gruppo alla supervisione e agli interventi di consulenza e formazione in aziende multinazionali.
Tra la fine degli anni ’70 e la prima metà degli ’80 ripensa e arricchisce la socioanalisi ridefinendola come “psico-socioanalisi”, dando vita, insieme ad un gruppo di allievi, inizialmente alla “Cooperativa di psicoterapeuti e formatori” e poi, ad Ariele, l’Associazione Italiana di Psicosocioanalisi.
Quelli in Ariele saranno anni intensi e fertili – con la costituzione della “scuola di psicosocioanalisi”, i gruppi di ricerca e di supervisione, il “cerchio interno” quale luogo di dibattito continuo con i soci, la promozione di convegni – che Gino vuole siano concepiti e indicati come “colloqui” – di confronto pubblico con interlocutori esterni più o meno vicini alla psicosocioanalisi – ma anche di fatica e sofferenza: ne è testimonianza la lettera che Gino scrive il 23 dicembre annunciando le sue dimissioni dall’associazione.
Dopo l’uscita da Ariele, L. Pagliarani mantiene comunque un rapporto, critico e creativo, di collaborazione con l’associazione e con i suoi soci; in particolare si rende disponibile, tra il 1989 e il 1990, a condurre una ricerca, voluta da Ariele, sullo stato di crisi attraversato dall’associazione anche a seguito dell’uscita del fondatore.