Lo Sviluppo organizzativo – o Organization Development (O.D.) – ad orientamento psicosocioanalitico (in breve, l’ “OD clinico”) rappresenta uno sviluppo e una caratterizzazione di quello che può essere indicato come “OD classico”.
Lo sviluppo organizzativo “classico”
La definizione di Sviluppo organizzativo più rigorosa e capace di accogliere il significato più largo delle esperienze possibili all’interno di tale pratica è di French e Bell jr., i quali definiscono lo Sviluppo Organizzativo come:
“un intervento a vasto raggio per migliorare i processi di soluzione dei problemi e di rinnovamento di un’organizzazione, specialmente attraverso un controllo più efficace e collaborativo della cultura dell’organizzazione – con particolare riguardo alla cultura dei gruppi di lavoro formali – con l’assistenza di un agente di cambiamento o catalizzatore, e l’impiego delle teorie e delle tecniche delle scienze umane applicate, inclusa la action research”.
Considerando le origini storiche del movimento dello Sviluppo organizzativo e il significato più diffuso delle sue pratiche applicative, gli “spazi organizzativi” propri dello Sviluppo organizzativo si possono così definire:
- il soggetto organizzativo, risorsa in sé capace di un continuo miglioramento e di rispondere positivamente a un ambiente di sfide e di stimoli all’apprendimento;
- il gruppo, realtà centrale del processo di cambiamento organizzativo che offre un punto di osservazione privilegiato sia degli investimenti funzionali che dei coesistenti, talvolta massicci, investimenti difensivi;
- l’organizzazione, con un rapporto aperto con l’ambiente esterno che si adatta ad esso attivando un processo di sviluppo fondato sulla differenziazione e sulla conseguente ricerca al proprio interno, nella relazione adattativa con l’ambiente, di forti legami d’integrazione.
I valori di fondo che lo sviluppo organizzativo ha saputo indicare e affermare, sono:
- l’orientamento a lungo termine nella gestione del cambiamento, intesa come impegno a coinvolgere l’intero sistema in un processo di cambiamento partecipato, nell’ambito del quale “ogni componente viene ascoltata”;
- l’enfasi sulle scienze applicate del comportamento, al fine di favorire un’efficace comunicazione e decisionalità del gruppo, la comprensione delle dinamiche di cooperazione e conflitto tra gruppi, la creazione di relazioni interpersonali autentiche;
- l’utilizzo di una consulenza orientata al processo tendenzialmente esterna all’organizzazione, in modo da favorire un punto di vista autonomo e competente, non coinvolto nel sistema di relazioni esistente;
- un forte commitment della leadership, necessario a sostenere il sistema sia nella fase della decostruzione dell’esistente, che in quella della ricostruzione di una nuova organizzazione;
- l’enfasi sull’approccio di action research cioè su un modello d’intervento che coinvolge direttamente nell’indagine il ricercatore e che responsabilizza il sistema oggetto d’indagine nell’analisi dei dati e delle decisioni che verranno prese in ogni tappa del processo;
- un approccio consulenziale orientato a facilitare il cambiamento con un atteggiamento di incoraggiamento anziché di tipo normativo.
Gli elementi costitutivi dello Sviluppo organizzativo classico possono essere così riassunti:
- il sistema dei ruoli, che costituisce l’ossatura di ogni intervento di sviluppo organizzativo, è definito dalla relazione ricorsiva tra committente-cliente-consulente.
Con committente si intende un ruolo con la responsabilità di interpretare una situazione di disagio attiva nell’organizzazione, capace di minare o pregiudicare in parte il raggiungimento del compito primario, e di attivare, con l’assistenza di un consulente a favore del sistema cliente, un processo di trasformazione.
Con cliente si intende un ruolo capace di sviluppare un rapporto di alleanza consapevole con la leadership del committente, attraverso una concreta collaborazione al progetto di sviluppo dell’organizzazione.
Con consulente si indica un sistema di ruoli capace di sviluppare un’azione continua di “ego-ausiliarietà” nei confronti e del committente e del cliente, operando, attraverso il controllo del controtransfert, la gestione delle “tentazioni” di influenza sia superegoica che seduttiva e regolando il “traffico” delle emozioni profonde di natura dislocativa che si attivano abitualmente durante un progetto di sviluppo organizzativo.
Gli oggetti di fatto ogni elemento dell’esperienza organizzativa può trasformarsi in un oggetto di intervento di sviluppo organizzativo.
Quelli più frequentemente indicati quali strutture problematiche su cui gli interventi di sviluppo organizzativo si sono orientati sono:
- le relazioni interpersonali, faccia a faccia, tra gli individui;
- le relazioni di potere e di influenza, sia formali sia informali;
- i rapporti funzionali e interfunzionali, sia verticali che orizzontali, esercitati dagli individui attraverso i ruoli e l’autorità di ruolo, sia di natura formale che informale;
- il sistema di convinzioni e di valori sedimentati nella cultura organizzativa;
- i flussi decisionali da cui derivano strategie, programmi, piani di azione (compresi i sistemi e le metodologie con cui sono formulati e presentati);
- i flussi comunicativi (compresi i canali, i sistemi, i linguaggi che consentono loro di operare).
- Le fasi tipiche di svolgimento di un intervento: lo sviluppo organizzativo con approccio classico è una tecnologia d’intervento manageriale tipicamente “stadiale”. H. Schein (1969) ha individuato le fasi caratteristiche di un intervento di sviluppo organizzativo:
1 presa di contatto iniziale con l’organizzazione del cliente;
2 definizione del rapporto di consulenza, di un contratto formale e di un confronto psicologico;
3 scelta di un ambito e di un metodo di lavoro;
4 raccolta di elementi conoscitivi e di diagnosi;
5 intervento;
6 riduzione dell’impegno del consulente;
7 conclusione del rapporto.
- Per le tecnologie d’intervento si può ripetere la considerazione precedentemente svolta per gli oggetti di un intervento di sviluppo organizzativo classico, nel senso della loro numerosità che rende impensabile un dar conto esclusivo delle loro caratteristiche e condizioni di utilizzo.
La prospettiva clinica nello sviluppo organizzativo
L’esplorazione dei campi semantici dell’aggettivo “clinico” è di aiuto per una comprensione del significato del nucleo di teoria e prassi che fonda l’approccio operativo di intervento nell’organizzazione.
L’etimo fondamentale di “clinico” si riferisce alla radice greca di klìno, nelle seguenti specificazioni grammaticali: klìno = verbo, klìne = sostantivo, klinokòs = aggettivo.
Il significato più generale si riferisce alla situazione di un soggetto “che giace a letto”, che “viene fatto distendere su una stuoia (klìne, è da qui che viene la parola clinica)”.
Tale significato contiene il rimando tradizionalmente e ampiamente accettato della parola “clinico”: connessa vi è l’idea e l’esperienza della sofferenza, con un rimanere nel proprio letto, in una condizione che è insieme di dolore e di attesa passiva e dipendente di un aiuto esterno.
La “clinica”, in questo significato tradizionale e ampiamente accettato, è così un nodo di competenze medico-applicative e insieme il luogo in cui la “clinica” si dispiega nella fornitura di un sapere diagnostico-terapeutico esclusivo, unidirezionale, che non si discute, ma si porge quando i bisogni espressi da chi soffre coincidono con la diagnosi di chi tale sapere possiede ed eroga unidirezionalmente.
Un’interpretazione più ampia dell’aggettivo “clinico” rimanda al recupero dell’aspetto controtransferale di ogni relazione, portando in evidenza la realtà relazionale a due dell’esperienza di sofferenza umana. Accanto alla condizione di isolamento del “giacere a letto”, compare, in questo secondo significato di “clinico”, l’azione dello “inclinarsi” e dello “sporgersi”, piegandosi, da parte di un secondo soggetto che porta dinamicamente qualcosa a chi sta giacendo. Chi giace è sollecitato a ri-conoscere nel suo soffrire un nuovo aspetto di una sua permanente, autonoma, unica, dignità. Chi “si sporge” “si stanca” inevitabilmente, perché, controtransferalmente, assorbe le angosce di chi, giacendo, soffre. E in questa condizione, di conosciuta reciprocità, trova le chiavi della competizione e dell’accesso al mondo di esperienza vitale dell’altro.
In questa direzione, il contributo della psicosocioanalisi – nella quale sono compresenti una teoria dell’individuo e una teoria del sociale negli aspetti distintivi e indissolubili dell’amare e del lavorare – si pone come capace di contenere in tutta la sua potenziale ricchezza la prospettiva clinica dello sviluppo organizzativo, oltre la crisi del suo approccio classico prodotta dalle profonde trasformazioni del contesto (globalizzazione, ipercompetitività, perdita della fiducia nei confronti di una possibilità di crescita armonica delle società complesse ecc.).
In tale quadro, l’OD clinico propone un insieme di traguardi alle attività di sviluppo dell’organizzazione tra di loro collegati che possono proporre anche un’idea di significato dell’esperienza organizzativa contemporanea.
Tale insieme di traguardi propone:
- una possibilità di pensabilità del cambiamento da parte sia del committente che dell’insieme dei clienti, individuali che collettivi;
- l’opportunità di una differenziazione e individuazione delle donne e degli uomini che rappresentano gli attori delle varie fasi di un intervento di sviluppo organizzativo;
- una chiamata allo sviluppo dei “possibili” degli individui e delle organizzazioni clienti.
Questo insieme di traguardi costituisce un processo, insieme sequenziale e ricorsivo che, attivando continuamente domande da parte dei vari attori implicati – committenti, clienti, consulenti – rende indefinibili in sé gli obiettivi e i traguardi, ma pur sempre tuttavia aperti e riattualizzabili.