Nuove prove di organizzazione e people caring
Negli ultimi anni due i temi, spesso connessi, che echeggiano nelle Aziende e nei discorsi di consulenti e manager: leaderless ed engagement.
Sollecitati dallo sviluppo della rete, dei social, delle tecnologie comunicative si parla di organizzazioni senza leader.
Dovunque, inoltre, si sostiene che i collaboratori debbano essere coinvolti ed “ingaggiati”, che occorre promuovere passione e attaccamento all’Azienda e al lavoro.
Se da un lato, diciamoci la verità, tutto ciò sembra essere un “tormentone”, come le canzoni estive che sentiamo ovunque e dovunque nelle spiagge, dall’altro esprime un effettivo bisogno: quello di trovare nuove idee per rispondere sia alle esigenze aziendali, sia alla domanda di “piacere lavorativo” degli individui. Piacere lavorativo nel senso di sentirsi valorizzato e riconosciuto, di operare con soddisfazione ed essere parte di un progetto.
Un tema antico, una pista battuta da molti, nella politica come nelle pratiche e nelle teorie manageriali.
Un desiderio, quello di mettere in connessione cura ed attenzione ai collaboratori con successo dell’impresa.
Questi temi stanno attraversando anche il percorso di ricerca di Ariele e della psicosocioanalisi, che da sempre hanno a cuore il benessere delle organizzazione e delle persone che la vivono.
Il Libro People Management, edito da Wolters kluwer, a cura di Mauro Tomé, Simona Deiana, Daniela Patruno e Loretta Radaelli, riporta spunti di riflessione interessanti frutto di un’ampia ricerca
Ma tutto questo è un sogno? Una meta? Una possibilità?
Ciò che è certo è che si stanno producendo nuove spinte: l’imponente diffusione dello smart working e del welfare aziendale, così come l’enfasi sulla “generatività” e la progettualità lo testimoniano.
Una domanda di innovazione organizzativa e di senso che spinge a sperimentare nuove strade nel rapporto tra individuo ed organizzazione.
La “sociocrazia” è uno di questi, modello di cui si parla in un articolo apparso sul Corriere della Sera “In ufficio senza capi. Funziona?”e su L’Internazionale intitolato “Senza gerarchie”.
“Niente capi, via le gerarchie, nessuna carriera. E come obiettivo, «agire nel miglior interesse dell’azienda». Non è il socialismo reale, ma il modello organizzativo «partecipativo»”
La sociocrazia, secondo quanto scritto, si basa su un modo di lavorare dove non esistono assegnazioni di compiti, ma assunzioni volontarie di incarichi da parte dei lavoratori che vengono discussi e analizzati in molte riunioni al fine di risolvere i problemi e raggiungere gli obiettivi.
Ciò che è interessante è che in entrambi gli articoli si narra di esperimenti e di nuove realtà in cui si prova a lavorare in assenza del capo.
Da non confondere con l’assenza di leader, perché di questo è impossibile farne a meno (se per leader intendiamo chi è in grado di influenzare), ma di una struttura gerarchica fissa.
Un tentativo mosso dal desiderio di alcuni di trovare soluzioni più adeguate ai propri bisogni e idee, ma anche dalla scommessa di aziende di individuare nuovi modelli in grado di meglio rispondere alle esigenze produttive e di mercato. Non stiamo parlando delle solite professionalità creative o delle start-up, ad es. in Francia la Michelin, un colosso mondiale, sta sperimentando strutture produttive in cui operai e tecnici si autogestiscono e il management non comanda ma aiuta.
E’ un modo di lavorare che sta funzionando?
Rappresenta la nuova frontiera dell’engagement?
Le persone sono contente? La produttività ne beneficia? Ne vale la pena?
E’ interessante pensarci e analizzare questa nuova modalità operativa; per questo parafrasando il claim della “Université du Nous” possiamo chiederci: è possibile un altro modo di “fare insieme” al servizio della organizzazione e degli individui che la compongono?
Le domande nella psicosocioanalisi sono un elemento chiave che aprono nuovi pensieri e ci spingono oltre gli stereotipi.
A cura di Mauro Tomè