La socioanalisi e le sue Origini
La socioanalisi si sviluppa in Inghilterra, a Londra, nell’ambiente culturale psicoanalitico sviluppatosi attorno alle esperienze della Tavistock Clinic nei primi anni Quaranta.
A Londra – accanto a Sigmund Freud che vi è fortunosamente approdato nel 1938, malato e prossimo alla morte – sono confluiti da varie parti di Europa molti psicoanalisti dell’Europa Centrale, spinti lì per motivi politici o nel tentativo di sfuggire alle persecuzioni naziste.
La dominanza teorica della Tavistock Clinic è, e rimane per lungo tempo, la teoria psicoanalitica di Melanie Klein, ispirata fondamentalmente dalla teoria delle posizioni schizo-paranoide e depressiva e della formazione precoce – rispetto all’ipotesi freudiana – dell’Io e dei relativi meccanismi di difesa.
All’interno della Clinica, già durante gli anni del secondo conflitto mondiale – “grazie” alla natura massimamente socio-politica della guerra – iniziano le prime sperimentazioni di Wilfred Bion di terapia di gruppo (W. Bion, 1955, 1961) e quindi la ripresa di quell’intuizione di Sigmund Freud secondo la quale “… la psicologia individuale è al tempo stesso, fin dall’inizio, psicologia sociale”; e che, nell’immediato dopoguerra, si origina, accanto all’istituzione terapeutica, una sezione di intervento clinico nelle organizzazioni sia di tipo pubblico che privato-produttivo – il Tavistock Institute of Human Relations – orientata dalla speranza, che via via si fa sperimentazione e convinzione, che le idee centrali della teoria kleiniana, rivedute da W. Bion nelle sue esperienze di lavoro con i gruppi, possano essere raccolte, ripensate e messe in circolo in interventi ad approccio clinico di organizzazioni in crisi, soprattutto a causa dei costi economici e umani della guerra e delle necessità di profonda riconversione dell’apparato industriale.
Il geniale autore di questa sintesi è l’ufficiale medico canadese Elliott Jaques, in Inghilterra in ragione della guerra, impegnato al pari di W. Bion, nei servizi di sostegno terapeutico agli ufficiali traumatizzati dall’esperienza di combattimento, poi attivo presso la Tavistock Clinic come psicoanalista infantile, analizzato dalla M. Klein, fondatore infine del Tavistock Institute.
E. Jaques, per primo, in un celebrato intervento presso un’azienda metallurgica inglese in crisi per la riconversione produttiva postbellica – la Glacier Metal Company il cui chairman era W. Brown – applica sul terreno dello sviluppo dell’organizzazione queste ipotesi, che fino ad allora erano state applicate solamente nell’intervento clinico sui pazienti individuali e nei gruppi terapeutici.
A sottolineare il forte legame con la disciplina e la teoria di riferimento sta il fatto che questo approccio verrà definito da E. Jaques e dai colleghi che con lui realizzeranno le più significative esperienze – particolarmente noto diverrà lo studio condotto da Isabel Menzies presso la scuola infermieristica di un ospedale pubblico – come “socioterapeutico” (social therapy).
La socioanalisi teorizzata e praticata da Jaques si rivela, già agli inizi degli anni Cinquanta, un corpo teorico coerente, capace di supportare le prassi di operatori clinici coinvolti nello sviluppo delle organizzazioni umane, in un ambito di problemi ampio, che va dalla gestione delle resistenze al cambiamento fino alla progettazione di sistemi premianti, attraverso la gestione delle problematiche della valutazione delle prestazioni e del potenziale, della leadership, del gestione del conflitto, della progettazione strutturale e organizzativa, del disegno dei ruoli e della definizione dei compiti.
La socioanalisi, grazie alle esperienze sul campo e ai momenti di rielaborazione all’interno del Tavistock Institute, diffuse soprattutto la rivista Human Relations, evolve tuttavia agli inizi degli anni Sessanta, lungo due direttrici distinte. Da un lato si ibrida con la teoria dei sistemi e, attraverso l’opera teorica e applicativa di due allievi di Jaques – F.E. Emery e E.L. Trist – confluisce nella teoria dei sistemi socio-tecnici che diverrà il paradigma di analisi organizzativa per tutti gli anni Settanta.
Dall’altro verrà ad assumere i caratteri di un approccio che due allievi e colleghi di Jaques – A.D. Newman e R.W. Rowbottom – indicarono come “ingegneria sociale” (social engineering).
In tal senso, se da un lato il E. Jaques inventore della socioanalisi, attraverso i suoi scritti teorici più significativi, renderà possibile lo sviluppo di un approccio allo sviluppo delle organizzazioni all’altezza dell’evoluzione della psicoanalisi europea, dall’altro il E. Jaques celebrato consulente di direzione, chiamato a disegnare sistemi organizzativi e politiche retributive di imprese e istituzioni di tutto il mondo anglosassone (dall’esercito americano alle imprese minerarie dell’Australia), si allontanerà sempre più dall’ispirazione psicodinamica degli inizi, fino al punto di disconoscerne la pertinenza .
Le ultime sue pubblicazioni rientrano così nel mainstream manageriale dal tono prescrittivo e precettistico, mentre il suo commiato dalla psicoanalisi viene ad assumere un tono sgradevole, di cui fa testo la polemica un po’ acida con l’allievo Gilles Amado sulla “funzionalità” dell’approccio psicoanalitico alla comprensione e all’intervento nelle organizzazioni.